Menu
Menu

Bosco Paese Museo

I luoghi di Ortega

Bosco (390 m s.l.m.) sorge intorno all’anno 1000 d.C.

Il suo sviluppo è legato alla chiesa parrocchiale di San Nicola, antica abbazia, prima greco-bizantina, poi benedettina sorta nei primi del 1200. Diventa Comune nel 1200, poi soppresso il 28 luglio 1828 per Regio Decreto di Francesco I di Borbone, Re di Napoli e delle due Sicilie, quale esemplare punizione, per aver attivamente partecipato alla Rivolta del Cilento del 1828 ed aggregato al comune di San Giovanni a Piro.

Il suo nome, legato alla natura boschiva del territorio in cui sorgeva, divenne Villa S. Pietro, quando nel secolo XVI Pio IV lo unì in commenda al Capitolo di S. Pietro Apostolo in Vaticano e in seguito Borgo di S. Giovanni a Piro, quando a quest’ultimo fu annesso dopo i moti Cilentani.

L’itinerario ha inizio dalla piazzetta intitolata ai martiri dei moti cilentani del 1828. Qui un grande murale in ceramica, opera di José Ortega del 1980, rievoca il triste epilogo della rivolta conclusasi con l’incendio del piccolo borgo cilentano.

Dopo una rigenerante bevuta alla sorgente Sambuco le cui acque, provenienti dal monte Bulgheria, scorrono sempre fresche e leggere, ci muoviamo verso il centro. Risalendo via Provinciale, imbocchiamo la seconda traversa a destra. Passando vicino al vecchio lavatoio, giungiamo in via Lavinaio dove troviamo la cappella di Santa Maria del Carmine. Fatta costruire nel 1648 da Pompeo Ursaia (figlio di Domenico docente di diritto canonico presso l’Università della Santa Sede), è oggi di proprietà del Comune.

Continuando a scendere, arrivati all’incrocio con via Porta della terra, svoltando a sinistra si arriva in piazza S. Rosalia al centro della quale è ubicata l’omonima cappella eretta nella seconda metà del XVII sec. per devozione alla Santa dopo l’epidemia di peste che causò a Bosco 200 morti. Dal 2009 è passata in proprietà al Comune. Di particolare pregio è il pavimento maiolicato che contorna uno stemma gentilizio.

Nei pressi della piazzetta, dove spicca un bel portale in pietra sormontato da uno stemma in marmo bianco e protetto da un portico con arco a sesto acuto, troviamo il museo “Casa Ortega”. Il palazzo ottocentesco, fino agli anni ’60 sede della scuola elementare, dal marzo del 2011 ospita una mostra permanente dei lavori in cartapesta del pittore spagnolo, già allievo di Picasso, José Ortega (Arroba de los Montes – Mancha, 1921 – Parigi, 1990). Costretto all’esilio dal 1960 perché in contatto con i rivoluzionari antifranchisti, si trasferì prima a Parigi, poi in Italia, in particolare a Matera (PZ) ed a Bosco. Nel piccolo borgo cilentano trascorse gli ultimi vent’anni, prima di morire a Parigi. Considerato uno dei più grandi pittori spagnoli e non solo del ‘900, ha esposto in America, Francia, Germania, Belgio, Italia e Spagna. Le sue opere, impregnate di realismo, partono dalla semplice osservazione della condizione dell’uomo e arrivano, grazie alla grande maestria nell’uso dei colori e della luce, a lanciare un fortissimo messaggio universale.

Continuiamo verso via S. Nicola che percorriamo in direzione est. Superata la cappella dei Santi Pietro e Paolo eretta nel 1691, giungiamo all’abitazione del “pintor” della Mancha. Arrivato nel 1971, a Bosco trovò una realtà che gli ricordava il suo paese originario. Egli stesso disse:

«Sto bene con voi, perché qui ho trovato un’angoscia ed una miseria che sono quelle della mia gente. Perché i colori sono quelli della mia terra. Sono rimasto perché la pelle dei braccianti è scura e secca, come quella dei contadini spagnoli.» Per anni si impegnò nella ristrutturazione della sua casa. La cura per i dettagli, l’originalità nella scelta dei colori e delle forme, la singolarità degli arredi ne fanno un vero museo d’arte. Niente è banale, nulla è per caso. “Chi vi entra resta inizialmente attonito nel vedere – al centro dello spazio – troneggiare una Pietà e, poco più distante, un quadro dal quale netto si stacca un pugno idealmente proteso nello stesso spazio. Accanto al pugno del comunista… Ortega pone, come altro valore, i piedi inchiodati del Cristo, quasi a confrontare ed a controbilanciare concezioni etiche e socio-culturali che per oltre un secolo hanno distinto e diviso popoli e nazioni”. Dal vagabondare per le campagne e per i vicoli, dal dialogare con i contadini, dall’osservazione della gestualità del potare, del mietere, dello zappare nascevano i suoi lavori: “esseri curvi dalle schiene spezzate, dalle mani callose, dallo sguardo attonito ed impaurito”.